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L'Aquila e il Gufo

 

L'Aquila e il Gufo un dì, fatta la pace e scambiato l'amplesso, l'una giurò, parola di regina, e giurò l'altro in fe' di barbagianni, che non avriano a' danni e alla rovina de' figli loro congiurato mai.
- Conosci i figli miei? - chiese l'uccello caro a Minerva. - Io no.
- Or temo, se distinguerli non sai, che tu ne faccia un dì tristo macello. Voi grandi, per quel poco che ne so, come gli dèi lassù, non state a calcolare il meno e il più, ma fate dei mortali quel conto che si fa degli stivali. Oh sì, povero a me se me li mangi! ... - Amico, orbe', se vuoi che non tocchi una penna a' figli tuoi, me li presenti o fammene il ritratto.
- Davver? subito fatto. Sono uccellini belli e graziosini, che non hanno gli eguali infra gli uccelli. Se tu li vedi, esclami: "Ecco son quelli". In mente ben rimarca questi segnali e fa' che per tuo mezzo non entri in casa mia la trista Parca -.
Non molto tempo andò che il barbagianni babbo diventò, e un dì ch'egli era fuori per la spesa l'Aquila venne, e visto in un oscuro crepaccio d'una grotta, ovver d'un muro (preciso ancor nol so), certi uccellacci di sembianza offesa, goffi, rognosi e cupi e rauchi al canto, - Questi non son del nostro amico i figli, - esclama, - e bene io posso mangiarmeli -. Sì disse, e la grifagna, che non è ne' suoi pasti pitagorica, se li rosicchia tutti fino all'osso.
Quando il Gufo tornò dalla campagna, e non trovò di tutti i figli suoi che l'unghie e i becchi asciutti, le grida disperate al cielo alzò, e contro l'assassin lo sdegno e i fulmini dei numi supplicò.
Ma fuvvi chi gli disse: - O barbagianni, te stesso accusa autor de' tuoi malanni, o il senso natural, che sempre vuole chi ne somiglia render belli e amabili. Meglio per te, se per amor de' tuoi, non avessi gonfiate le parole.

 

La Ragazza

 

 

Una Ragazza un poco superbiosa volea marito a patto ch'ei fosse bello e giovane e ben fatto, non freddo, non geloso (notate bene questa circostanza), che non fosse scipito e avesse poi oltre i denari un gran di nobiltà. Gran Dio! come si fa, ditelo voi, a trovar queste mele sopra un ramo?
Eppur a contentar le sue pretese la Sorte fu cortese di mandarle partiti onesti e buoni. Ma lei: - Che, che... si celia? figurarsi se mi devo pigliar questi straccioni! Il fastidio non val d'incomodarsi... Tutta gente pezzente, inconcludente, che mi ripugna e che mi fa pietà.
L'un spirito non ha, l'altro non ha quel non so che di garbo e di finezza... -. E sprezza l'uno e sprezza quell'altro per il naso... Non c'è cosa sì bella e sì preziosa, che possa contentar la schifiltosa.
Dopo i partiti buoni si presentaron sposi più modesti; ma quella ancor: - Oh sì, ch'io voglio a questi adesso l'uscio aprir di casa mia, chi pensan ch'io mi sia? Una donna in fastidio di me stessa, che di pianger la notte mai non cessa per la malinconia di dormir sola in letto? -.
E superba così del suo dispetto, vede passar intanto il suo bel tempo, e diradar la schiera degli amanti. Un anno passa, un altro viene avanti, oggi muore un sorriso, e muore un gioco, diman sloggia l'amore, ed entra a poco a poco in casa col rimorso anche il dolore.
Cadono i vezzi e spiace quel volto ch'essa cerca inutilmente di rendere leggiadro con cipria e con belletto, fin ch'ella cede inesorabilmente al Tempo, delle belle il più gran ladro.
Se oggi mi crolla un muro, di rifarlo dimani ancor procuro, ma né in parte rifar posso, né in tutto, un bel volto che il tempo abbia distrutto. Madonna schifiltosa, che allo specchio più tardi si consiglia, cangia parere e - Piglia, - dice, - un marito. - Piglialo, - susurra in un orecchio un certo desiderio, che parla anche alle donne schifiltose; ed ebbe in cortesia, al destin rassegnata delle cose, di trovare un babbeo comechessia.

 

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