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Il Sole e il Vento

 

In autunno si sa che pazzo è il tempo, ora piove, ora è bello, or splende il sole, or distende la bella Iride il lembo del suo vestito, avviso a chi viaggia di portarsi per strada un buon mantello. Balzana nominarono gli antichi una stagion siffatta, in cui mai troppe le previdenze son del pellegrino.
Un di questi era uscito un giorno appunto ben riparato contro ogni incostanza della stagione, in un doppio tabarro di buona stoffa, allor che disse il Vento al Sole: - Ecco, costui, per quel ch'io veggo, ha provvisto assai ben contro gli eventi, ma non pensò ch'io so gonfiar le guance e con tanto soffiar impeto e forza, che strappo anche i bottoni; o vuoi ch'io provi a togliergli di dosso e con un colpo al diavolo mandar quel suo tabarro? Vuoi vedere? così potremo un poco al bel volo godercela fra noi -.
Senza tante parole a lui rispose il Sole: - Anzi fra noi facciam scommessa a chi prima saprà scoprir le spalle del galantuomo. A te, comincia primo, ch'io mi lascio soffiar anche sul viso -.
Bastò il dirlo che il vento in un momento tien la scommessa e s'empie e si rigonfia, come un pallon, di nebbie e di vapori, e soffia e fischia e zufola e tempesta, innanzi polveroso va superbo, e comignoli schianta e manda a picco più d'una nave in mar per il capriccio d'un ferraiol, ahimè! Presto sul corpo il suo mantel si strinse il viandante, sì che il vento non entri. Invan s'insinua questo dentro le pieghe e sotto il bavero, ché l'uom prudente ancor più stretto attagliasi il panno al dosso, e fu tempo perduto. Trascorso il tempo suo, cedette il Vento il gioco al Sol, che dissipa in un tratto le nebbie e mostra il suo faccion lucente, e tanto scalda al galantuom la schiena, che sudato alla fin questi si tolse il palandrano. Fu potente il Sole, facendo men di ciò ch'ei puote; indizio che la dolcezza vince ogni furore.

 

 

Il Gatto, la Donnola e il Coniglio

 

 

Un bel mattino donna Donnoletta, colto il momento, nella casa entrò d'un giovane Coniglio. E mentre ch'egli è fuori a far l'amore nella rugiada, in mezzo al timo in fiore, le masserizie sue vi collocò. Quando il Coniglio ebbe mangiato ed ebbe saltato e rosicchiato, a casa sua tornò.Ma proprio in quel momento ch'entrava nell'oscuro appartamento, alla finestra l'altra si affacciò.
- Santa ospitalità! che vedo io qui? -
disse il Coniglio fermo sulla porta.
- O signora Faina prepotente,
faccia il piacer d'uscirne immantinente,
o chiamo tutti i Topi del paese
che la faran sgombrar ed a sue spese.
- Che? la terra - risposegli madama
dal naso aguzzo, - è di chi se la piglia.
E proprio non consiglio per sì poco
d'una guerra tentar l'incerto gioco.
E poi per qual ragione
soltanto suo proclama
un luogo ove si arrampica
pel primo anche il padrone?
Qual legge, qual diritto,
e su qual carta è scritto
che questa tana sia
di Pietro, di Martin quondam Iseppe,
o piuttosto di Gianni od anche mia? -
Gian Coniglio rispose che anche l'uso è buona legge e che per questo ei crede d'aver diritto. Il nonno suo Belmuso lasciò la casa al padre suo Belpiede,dal quale venne al figlio, ch'è lui, Giovan Coniglio.
- Se del primo occupante tu ritieni -
la Donnola rispose, -
giusta la legge, vieni
e interroghiam Mammone,
ch'è giudice sicuro in queste cose -.
Era questi un gatton grasso e bonario, un sant'uomo di gatto, tutto pel, tutto gozzo e tutto lardo, e che facea la vita beata di pacifico eremita.
Buon giudice del resto in ogni sorta
di casi... Vanno, picchiano alla porta,
deo gratias... - Miei figliuoli, -
dice padre Leccardo, -
venite pure avanti,
perché sapete, gli anni
m'han fatto sordo, oltre agli altri malanni -.
Vanno i due litiganti, senza nessun sospetto, al suo santo cospetto. Quando il padre Leccardo, il santo scaltro, li vide bene a tiro, aprendo le due zampe, all'uno e all'altro aggiustò le partite in un sospiro.
Così capita spesso a certi staterelli, che giustizia chiedon a un diplomatico congresso.

 

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