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La Regina della Neve

 

Un giorno uno spirito malvagio, uno dei più cattivi, il diavolo in persona, era veramente di ottimo umore, perché era riuscito a fabbricare uno specchio che aveva questo potere: ogni cosa buona e bella che vi si rifletteva dentro, scompariva fino a non esistere quasi più, ma se una cosa si presentava male o era sconveniente, allora risaltava chiaramente e diventava ancora più brutta. I paesaggi più belli sembravano lì dentro spinaci bolliti, e gli uomini migliori diventavano orridi, oppure stavano con la testa all’ingiù; le facce sembravano talmente contorte che non potevano più riconoscersi, e se uno aveva una lentiggine, si poteva esser sicuri che si sarebbe allargata fino a coprire il naso e la bocca. Un divertimento raffinato, diceva il diavolo. Se un pensiero buono e pio per caso nasceva in un uomo, sullo specchio arrivava una smorfia, e così il diavolo stregone doveva per forza ridere della sua invenzione spiritosa. Tutti quelli che andavano alla scuola di stregoneria - perché lui faceva scuola di stregoneria! - andavano raccontando dappertutto che era avvenuto un miracolo, e che adesso finalmente si sarebbe potuto vedere, dicevano, come erano in verità gli uomini e il mondo. E corsero in ogni luogo con quello specchio, e alla fine non ci fu più un paese o un uomo che non fosse stato deformato lì dentro; e allora vollero arrivare anche in cielo per farsi gioco degli angeli e di “Nostro Signore”. Più andavano in alto e più lo specchio sghignazzava; lo reggevano con grande fatica; volarono sempre più in alto, sempre più vicino a Dio e agli angeli; e alla fine lo specchio tremò con tale violenza nel suo riso di scherno, che sfuggì dalle loro mani e precipitò giù verso terra, dove andò in cento milioni, bilioni di schegge e più ancora. Ma così in pezzi, lo specchio fece un male molto più grande di prima! Certe schegge, infatti, erano grandi come grani di sabbia, e, volando attorno per il vasto mondo, andarono a finire negli occhi degli uomini. Gli uomini allora videro tutto a rovescio, oppure ebbero occhi soltanto per quello che c'era di male in una cosa poiché ogni grano di sabbia serbava la stessa forza dello specchio quando era intero. A certi uomini un pezzetto di specchio arrivò addirittura al cuore; e allora, cosa spaventosa, il cuore diventò come un pezzo di ghiaccio! Certe schegge di specchio erano così grandi che vennero usate come vetri per le finestre, ma non era davvero il caso di guardare gli amici attraverso quei vetri; altre schegge diventarono lenti da occhiali, e allora erano guai, quando la gente metteva gli occhiali per vederci meglio e per essere più obiettiva; il maligno rideva tanto che gli ballava lo stomaco, e questo gli dava un piacevolissimo senso di solletico.
Ma fuori volavano ancora nell'aria piccole schegge di specchio, come adesso sentirete.

In mezzo alla grande città, dove ci sono tante case e tanti uomini che non rimane posto perché tutta la gente possa avere un giardinetto, e dove perciò quasi tutti devono accontentarsi dei fiori dentro i vasi, c'erano due bambini poveri che avevano tuttavia un giardinetto un po' più grande di un vaso. Non erano fratello e sorella, ma si volevano bene come se lo fossero stati. Erano vicini di casa. Le loro famiglie abitavano due soffitte, sotto i tetti spioventi di due case che stavano l'una di fronte all'altra, dove i tetti quasi si toccavano, e al di sopra della grondaia, si apriva in ogni casa una finestrina: bastava scavalcare la grondaia per passare dall'una all'altra finestra. Ognuna delle due famiglie teneva fuori dalla finestra una cassetta di legno, dove crescevano pianticelle aromatiche e un piccolo rosaio: c'era un rosaio per cassetta e cresceva benissimo. Ora, ai rispettivi genitori venne l'idea di sistemare le cassette trasversalmente sopra la grondaia, così che andavano quasi da una finestra all'altra, come due ponti di fiori. I rami dei piselli pendevano dalle cassette, e dai cespugli di rose spuntavano lunghi rami che si arrampicavano intorno alle finestre e s'inchinavano l'uno verso l'altro come un arco di trionfo di verde e di fiori. Fra le due cassette c'era un cantuccio di tetto dove i bambini potevano giocare al sicuro, con la proibizione però di scavalcare le cassette, i cui lati del resto erano molto alti; i bambini uscivano dalle loro finestre e giocavano a meraviglia sotto le rose. D'inverno però quel divertimento non c'era più. Le finestre erano completamente gelate. I bambini allora scaldavano sulla stufa una monetina di rame e la applicavano sul vetro ghiacciato, formando così uno spiraglio tondo tondo; dietro a esso faceva capolino un occhio dolce e buono, uno per finestra; uno del bimbo, uno della bimba. Lui si chiamava Kay e lei Gerda. D'estate con un solo salto potevano trovarsi insieme; d'inverno dovevano prima scendere tante scale e poi risalirne tante altre. Fuori turbinava la neve.
- Sono le api bianche che sciamano - diceva la nonna.
- Hanno anche loro una regina? - chiedeva il bambino, perché sapeva che tra le api vere ce n'è una.
- Sicuro! - diceva la nonna. - Vola dove esse sciamano fitte fitte! È più grande di tutte e non si posa mai sulla terra, ritorna sempre in alto nelle nuvole nere! Certe notti d'inverno vola per le vie della città e spia attraverso i vetri, e allora i vetri gelano in un modo così strano, proprio come fossero coperti di fiori!
- Si, io l'ho vista! - dissero i due bambini, e così furono certi che era una cosa vera.
- La regina della neve può venire qui dentro? - domandò la bambina.
- Venga pure - disse il ragazzo - La metto subito sulla stufa calda, così si scioglie.
Ma la nonna gli accarezzò i capelli e raccontò altre storie. La sera, quando era già mezzo svestito, il piccolo Kay si arrampicò sulla sedia sotto la finestra e spiò fuori attraverso il piccolo buco; alcuni fiocchi di neve caddero lì fuori, e uno, il più grande di tutti, si posò sull'angolo della cassetta di fiori; quel fiocco di neve diventò grande, sempre più grande e alla fine si trasformò in una dama, avvolta in un bellissimo velo bianco tempestato di milioni di fiocchi lucenti come stelle. Era tanto bella e fine, ma di ghiaccio, di risplendente, scintillante ghiaccio, eppure era viva; gli occhi erano fissi come due stelle chiare, ma in essi non c'era pace e tranquillità; ammiccò alla finestra e fece un segno con la mano; il bambino si spaventò e saltò giù dalla sedia; allora fu come se, fuori, passasse volando un grande uccello davanti alla finestra.

Il giorno dopo era un tempo chiaro e gelato; e poi venne il disgelo; poi venne la primavera, il sole brillava, il verde spuntava dappertutto; le rondini costruirono i nidi, le finestre si aprirono e i due bambini tornarono a sedersi nel giardinetto pensile, più in alto di tutte le finestre. Le rose quell'estate fiorirono meravigliosamente; la bambina aveva imparato un salmo, dove si parlava di rose, e quando arrivava alle rose lei pensava alle sue. Cantava per il ragazzo e lui l'accompagnava. Kay e Gerda stavano seduti a guardare nel libro delle figure le bestie e gli uccelli; e in quel momento l'orologio del campanile batteva precisamente le cinque; Kay disse:
- Ahi! ho sentito una fitta al cuore e ora m'è entrato qualcosa in un occhio!
La bambina gli afferrò il capo; egli sbatteva le palpebre; no, non si vedeva niente!
- Forse è andato via! - disse lui. Ma non era andato via. Era proprio uno di quei granellini di vetro schizzati dallo specchio, quello specchio malvagio dove ogni cosa grande e buona che vi si rifletteva, diventava brutta e orrida, e dove il malvagio e il brutto avevano tanto. Povero Kay, anche a lui era entrato un granellino nel cuore... Presto gli sarebbe diventato come un pezzo di ghiaccio. Adesso non sentiva più male, ma il granellino c'era sempre.
- Perché piangi? - chiese - Sei così brutta quando piangi! Io non ho niente! Puah! - gridò d'un tratto - quella rosa è rosicchiata da un verme, guarda, quella là è tutta storta! In fondo sono rose brutte, come la cassetta che le contiene! - e tirò un gran calcio alla cassetta e strappò via le rose.
- Kay, che fai? - gridò la bambina; e quando egli vide lo spavento di lei, strappò un'altra rosa e rientrò correndo nella sua finestra, lontano dalla cara piccola Gerda.  Da allora, quando Gerda arrivava col libro di figure, lui diceva che era roba per poppanti; e se la nonna raccontava le storie, lui ogni momento usciva fuori con un «Ma...», anzi, certe volte si metteva a camminare dietro di lei, inforcava gli occhiali e parlava come lei; l'imitava così bene che la gente ci si divertiva tanto. In pochissimo tempo imparò a scimmiottare tutta la gente che abitava in quella strada; tutto quello che c'era di strano e di brutto in quelle persone, Kay lo sapeva rifare benissimo, e la gente diceva:
- Quel ragazzo ha un cervello fino, senza dubbio.
Ma era per quella scheggia che gli era entrata nell'occhio, e per quell'altro pezzetto di vetro che gli si era fermato nel cuore, che si comportava così; e per questo faceva i dispetti alla piccola Gerda, che gli voleva bene con tutta l'anima. I giochi di Kay adesso erano assai diversi da prima: erano più seri. Un giorno d'inverno, che i fiocchi di neve turbinavano, egli arrivò con una grande lente d'ingrandimento, sollevò l'orlo della giacchetta fuori della finestra e ci fece cadere sopra dei fiocchi di neve.
- Adesso guarda nella lente, Gerda! - disse. Ogni fiocco di neve apparve molto grande e simile a uno splendido fiore, o anche a una stella a dieci punte: era meraviglioso.
- Guarda com'è fatto bene! - disse Kay - è molto più interessante dei fiori veri e non c'è neppure un difetto; è assolutamente perfetto! Se soltanto non si squagliasse!
E dopo un po' Kay ritornò con dei grossi guanti e lo slittino sulle spalle; urlò a Gerda nelle orecchie:
- Mi hanno dato il permesso di correre sulla piazza grande dove giocano gli altri ragazzi! - E corse via.

Là sulla piazza, i ragazzi più audaci solevano attaccare gli slittini ai carri dei contadini, facendosi trascinare per un bel tratto. Era proprio divertente! Mentre stavano a giocare così bene, arrivò una grande slitta: era tutta verniciata di bianco, e dentro era seduta una persona avvolta in una morbida pelliccia bianca e con un morbido cappuccio bianco; la slitta fece due volte il giro della piazza, e Kay, svelto svelto, riuscì ad attaccarvi il suo slittino; così fu trascinato via. Filò sempre più veloce in direzione della strada vicina; la persona che guidava volse il capo, fece un cenno tanto gentile a Kay, come se si conoscessero; ogni volta che Kay pensava di staccare il suo slittino, quella figura ammiccava e Kay restava seduto; corsero dritto verso le porte della città. Allora la neve cominciò a turbinare con tanta forza che il ragazzino non vedeva più neppure un palmo davanti a sé, ma la slitta correva; lui allora sciolse svelto svelto la cordicella per liberarsi dalla grande slitta, ma non servi a nulla; lo slittino restava attaccato e correva veloce come il vento. Allora egli gridò molto forte, ma nessuno lo udì, e la neve turbinava e la slitta volava; di tanto in tanto faceva un salto, come se superasse fossi e siepi; lui era spaventatissimo, voleva recitare il “Padre Nostro”, ma riusciva solo a ricordare la tavola pitagorica.
I fiocchi di neve si facevano sempre più grandi, finché diventarono grandi galline bianche; improvvisamente la grande slitta ebbe un sussulto, poi si arrestò e la persona che guidava s'alzò in piedi; la pelliccia e il cappuccio erano fatti tutti di neve; una dama era, alta e snella, di un candore abbagliante; era la regina della neve.
- Abbiamo fatto una bella corsa! - disse - Ma che freddo! Vieni, ficcati nella mia pelliccia d'orso! - E lo sollevò nella sua slitta e gli avvolse intorno il suo manto. Sembrava a Kay di essere immerso in una montagna di neve.
- Hai ancora freddo? - domandò lei baciandolo in fronte.
Ma quel bacio era più freddo del ghiaccio! Se lo sentì penetrare fino al cuore, che poi, in fondo, era già un pezzo di ghiaccio. Egli si sentì mancare; gli sembrava di morire; ma fu solo un attimo, perché poi il bacio gli fece bene; non sentì più il freddo che c'era intorno a lui.
- Il mio slittino! non dimenticare il mio slittino! - fu la prima cosa che gli venne in mente; lo slittino fu legato a una delle galline bianche che volavano dietro la slitta della regina. La regina della neve baciò un'altra volta Kay, e allora egli dimenticò la piccola Gerda e la nonna e tutti gli altri di casa.
- Adesso non ti bacerò più! - disse lei - perché finirei per farti morire!

Kay la guardò; era tanto bella; un viso più intelligente e più bello lui non lo sapeva immaginare; adesso non sembrava più di ghiaccio, come quella volta che era seduta fuori della finestra e ammiccava a lui; ai suoi occhi ella era perfetta; egli non aveva affatto paura; le raccontò che sapeva fare calcoli a memoria, anche con frazioni e radici quadrate, e sapeva quanti abitanti ci sono in questo e quel paese; e lei sorrideva sempre. Allora gli sembrò che non fosse abbastanza tutto quello che sapeva e guardò in alto, nel grande, immenso spazio dell'aria, ed ella volò con lui, volò in alto, sopra nuvole nere, mentre la bufera infuriava e fischiava come se cantasse vecchie canzoni. Volarono sopra boschi e laghi, sopra mari e terre; giù in basso sibilava il vento freddo, ululavano i lupi, scricchiolava il ghiaccio e al di sopra di esso volavano neri corvi gracchianti, ma in alto, sopra a tutte le cose, brillava la luna così grande e chiara; e a lei guardò Kay in quella lunghissima notte invernale; all'alba giaceva addormentato ai piedi della regina della neve.  Ma come rimase la piccola Gerda quando Kay non tornò più! Dove mai era andato? Nessuno lo sapeva, nessuno poteva dire niente. I ragazzi raccontarono soltanto che lo avevano visto legare la sua slitta a un'altra, grande e stupenda, che era sbucata in quella strada e poi era uscita dalle porte della città. Nessuno sapeva dove si trovasse il bambino; molte lacrime vennero sparse, la piccola Gerda pianse disperatamente e a lungo. La gente concluse che Kay era morto, che era annegato nel fiume della città.
E arrivò la primavera col sole più caldo.
- Kay è morto e non torna più, - diceva la piccola Gerda.
- Io credo di no! - rispondevano i raggi del sole.
- È morto e non torna più! - diceva alle rondini.
- Io credo di no! - rispondevano loro, e alla fine non lo credette più neppure la piccola Gerda.
- Metterò le mie nuove scarpette rosse! - disse una mattina. - Quelle che Kay non ha mai visto, e poi andrò giù al fiume a domandare!
Era mattina presto; essa baciò la vecchia nonna che dormiva, infilò le scarpe rosse, uscì sola sola dalla città e andò al fiume.
- È vero che tu hai preso il mio piccolo compagno di giochi? Ti regalerò le mie scarpe rosse se me lo ridai!
E le onde, a lei parve, ammiccarono in modo così strano; allora prese le scarpette rosse, la cosa più cara che avesse, e le gettò nel fiume. Ma esse caddero nell'acqua vicinissimo alla sponda, e le piccole onde gliele riportarono subito a terra; era come se il fiume non volesse prendere la sua cosa più cara, perché non le poteva re­stituire il piccolo Kay; ma lei pensò che non aveva gettato le scarpe abbastanza lontano, e così saltò dentro una barca che galleggiava tra i giunchi; avanzò fino all'estrema punta e gettò le scarpette; ma la barca non era legata bene, e col movimento che lei fece si staccò da terra; lei se ne accorse e subito fece per scendere, ma non le riu­scì, perché già la barca era lontana più di un braccio dalla sponda e adesso scivolava via sempre più veloce. Allora la piccola Gerda fu molto spaventata e si mise a piangere, ma nessuno la sentì all'infuori dei passeri, e loro non potevano riportarla a terra; volavano lungo le sponde e cantavano, come per consolarla:
- Siamo qui! Siamo qui!
La barca filava con la corrente; la piccola Gerda stava seduta zitta zitta con le sole calze; le scarpette rosse venivano dietro galleggiando, ma non potevano raggiungere la barca che correva più forte.

Sulle due sponde era bello; c'erano fiori splendidi e alberi alti e pecore e vacche, ma neppure l'ombra di un uomo.
“Forse il fiume mi porta fino al piccolo Kay”, pensò Gerda, e così tornò di buon umore; si alzò in piedi e per molte ore guardò le due belle e verdi sponde; e arrivò a un gran giardino di ciliegi, dove c'era una casetta con certe finestre azzurre e rosse e il tetto di paglia, e lì davanti due soldati di legno che presentavano le armi ai passanti.
Gerda gridò forte; credeva che fossero vivi, ma quelli naturalmente non risposero; passò vicinissima davanti a loro e il fiume spinse la barca dritto verso terra. Gerda gridò ancor più forte, e allora uscì dalla casa una vecchia, vecchissima donna che s'appoggiava a un bastone ricurvo; portava un grande cappello di paglia, dov'erano dipinti i fiori più belli.
- Oh! povera bambina! - disse quella vecchia - Ma come mai sei capitata in quella forte corrente del fiume, che ti ha portato così lontano nel vasto mondo?
Poi la vecchia si spinse addirittura nell'acqua, afferrò la barca col suo bastone ricurvo, la trasse a terra e sollevò la piccola Gerda. E Gerda fu felice di trovarsi all'asciutto, ma aveva un po' paura di quella vecchia donna sconosciuta.
- Vieni, raccontami chi sei, e come mai sei arrivata qui! - disse la vecchia.
Allora Gerda le raccontò tutto; e la vecchia scuoteva il capo e diceva: - Uhm! uhm! - e quando Gerda ebbe detto tutto e anche domandato se lei per caso non avesse visto il piccolo Kay, la vecchia rispose che lì davanti non era passato, ma che certo sarebbe venuto; Gerda però non doveva essere triste, doveva assaggiare le sue ciliege, guardare i suoi fiori che erano più belli di quelli dipinti nei libri, e ognuno di loro sapeva anche raccontare una intera storia. Poi prese Gerda per mano, entrò nella casetta e richiuse la porta a chiave. Le finestre erano molto in alto, e i vetri erano rossi, azzurri e gialli; la luce del sole splendeva li dentro in un modo strano, con tutti i colori, e sulla tavola c'erano le ciliege più belle del mondo, e Gerda ne mangiò a volontà, perché lì non aveva nessuna paura. Mentre lei mangiava, la vecchia le pettinava i capelli con un pettine d'oro.
- Una piccola bambina così bella era tanto tempo che la sognavo - disse la vecchia. - Adesso vedrai come ce l'intenderemo bene noi due!
E mentre pettinava i capelli della piccola Gerda, la bimba si scordava sempre più del fratellino di giochi. Poiché la vecchia era esperta di magia, ma non era una strega cattiva, stregava solo un poco, per suo divertimento, e adesso aveva voglia di trattenere con sé la piccola Gerda. Per questo uscì in giardino, e col suo bastone toccò i cespi di rose, che, perduti d'un tratto tutti i loro bellissimi fiori, scomparvero sottoterra. A ciò ricorse la vecchia perché aveva paura che Gerda, a veder quelle rose, potesse ripensare alle sue e ricordarsi anche del piccolo Kay e fuggire. Molti giorni passarono. Gerda conosceva ogni fiore, ma, per quanto fossero molti, pure le sembrava che ne mancasse uno, ma quale, lei non lo sapeva. Un giorno però, la bimba si mise a osservare il cappello della vecchia, con tanti bei fiori dipinti; fra quei fiori, ecco, proprio il più bello è una rosa. La vecchia aveva dimenticato di farla sparire dal cappello quella volta che aveva mandato sottoterra tutte le altre rose. Mica si può pensare a tutto!
- Come! - disse Gerda - qui non ci sono rose? - E saltò in mezzo alle aiuole, cercò e cercò, ma non ce n'era neppure una. Allora si sedette per terra e pianse: ma le sue calde lacrime caddero proprio là dove era sprofondato un rosaio, e quando quelle lacrime bagnarono la terra, l'albero germogliò di colpo e Gerda l'abbracciò, baciò le rose e ripensò alle altre bellissime di casa sua e, insieme, anche al piccolo Kay.
- Oh! quanto tempo ho perduto! - disse la bambina - Io, che dovevo andare in cerca di Kay! Non sapete dov'è? - chiese alle rose - Credete che sia morto per sempre?
- Morto non è - dissero le rose - Noi sottoterra ci siamo state, là ci sono tutti i morti, ma Kay non c'era!
- Vi ringrazio - disse la piccola Gerda, e andò dagli altri fiori, guardò nei loro calici e chiese:
- Non sapete dov'è il piccolo Kay?
Ma i fiori stavano al sole a sognare ciascuno la sua fiaba e la sua storia, e da essi la piccola Gerda ascoltò moltissime storie, ma nessuna parlava di Kay.

Non serve a niente interrogare i fiori, pensò Gerda, essi sanno soltanto la loro canzone, non mi danno nessuna notizia! Si tirò su il vestitino per correre più svelta e corse verso il cancello. Si voltò indietro tre volte, ma nessuno la inseguiva; alla fine non poté più correre e si mise a sedere su un grande sasso.
- Dio! quanto tempo ho perduto! - disse la piccola Gerda - È già venuto l'autunno! Non ho tempo di riposarmi! - E si alzò per riprendere il cammino.
Ma poco dopo Gerda dovette riposarsi un'altra volta; ed ecco, era già inverno. Lì sulla neve, proprio davanti a lei, saltellava una grossa cornacchia. Gerda le raccontò la sua vita e le domandò se avesse visto Kay.
La cornacchia annuì molto pensosa e disse:
- Potrebbe essere! Potrebbe essere!
- Come? Pensi di si? - gridò la bambina e mancò poco che non soffocasse di baci la cornacchia.
- Buona, buona! - disse la cornacchia. - Io credo, io so... io penso che forse sia il piccolo Kay! Ma adesso di sicuro egli ha di­menticato te per la principessa!
- Abita da una principessa? - chiese Gerda.
- Si, ascolta! - disse la cornacchia - ma mi è molto difficile parlare la tua lingua. Se tu capissi il linguaggio delle cornacchie, racconterei meglio!
- No, non l'ho imparato! - disse Gerda - ma lo conosceva la nonna e conosceva anche il linguaggio segreto dei neonati. Ah! Se l'avessi imparato!
- Non importa! - disse la cornacchia - racconterò come meglio posso, ma certo mi riuscirà male.
E raccontò quello che sapeva:
- Nel regno dove noi ci troviamo adesso, abita una principessa che è immensamente intelligente, riceve tutti i giornali che si stampano al mondo, li legge e li dimentica, tanto è intelligente. Un giorno se ne stava seduta sul trono e incominciò a canticchiare una canzone che diceva proprio così: «Perché non dovrei sposarmi?» «Ma guarda, sarebbe un'idea!» dice lei, e decise di sposarsi; ma voleva un marito che sapesse rispondere quando gli si parlava, non uno che soltanto se ne stesse li con le sue maniere distinte, perché questo è tanto noioso. Dunque radunò tutte le dame di corte, e quando loro sentirono quel che voleva, furono molto contente. Devi credere che ogni parola che ti dico è vera! - seguitò la cornacchia. - Io ho una fidanzata addomesticata che gira liberamente nel castello, e lei mi ha raccontato tutto!
Un giorno salì a piedi al castello una personcina, senza cavallo e senza carrozza, tutta allegra e ardita; i suoi occhi brillavano come i tuoi, aveva bellissimi capelli lunghi, ma era poveramente vestito.
- Era Kay! - gridò Gerda trionfante. - Allora l'ho trovato! - e batté le mani.
- Aveva un sacco sulle spalle - disse la cornacchia.
- No, doveva essere il suo slittino! - disse Gerda - perché lo slittino scomparve!
- Può darsi! - disse la cornacchia. Quando lui entrò per la porta del castello, e vide la guardia del corpo con l'armatura d'argento non rimase per niente imbarazzato; salutò e senza batter ciglio andò dritto dalla principessa.
- Era Kay di certo - disse Gerda - Oh! non mi vuoi portare al castello?
- Eh già, è presto detto! - disse la cornacchia - Ma come si fa? Ne dovrei parlare con la mia dolce fidanzata; lei potrebbe consigliarci; perché una fanciullina come te, non potrà mai ottenere il permesso di entrare proprio dentro!
- Si che l'otterrò! - disse Gerda - Quando Kay sente che sono qui, viene subito fuori a prendermi!
- Aspettami li, vicino al fosso della siepe - disse la cornacchia e scotendo il capo volò via.

Prima di notte la cornacchia tornò e spiegò a Gerda come avrebbero raggiunto Kay. Si incamminarono e una volta giunte al castello entrarono nel giardino, quando si spensero tutte le luci, la cornacchia condusse Gerda presso una porticina che stava socchiusa. Adesso si trovavano sulle scale; splendeva un piccolo lume su un armadio; in mezzo al pavimento c'era la cornacchia fidanzata, che girava la testa da tutte le parti, osservando Gerda far l'inchino come le aveva insegnato la nonna.
- Il mio fidanzato mi ha parlato tanto bene di lei, piccola signorina - disse la buona cornacchia - Il suo curriculum vitae, come si suoi dire, è anche molto commovente! Lei prenda il lume, per favore, e mi lasci andare avanti. Possiamo andare dritto, tanto non incontriamo nessuno!
- Mi sembra che ci sia qualcuno dietro di noi! - disse Gerda. Sentiva un sibilo passarle accanto. C'erano come delle ombre lungo la parete: cavalli dalle criniere svolazzanti e dalle zampe snelle, giovani cacciatori e dame e signori a cavallo.
- Non sono che sogni! - disse la cornacchia domestica - vengono a prendere i pensieri delle Loro Maestà per condurli a caccia, e questa è una fortuna, così lei potrà guardarli bene mentre dormono. Ma speriamo che lei mostrerà animo grato se un giorno salirà a qualche alta dignità!
- Non si parla di queste cose! - disse la cornacchia del bosco.
Attraversarono vari saloni finché giunsero alla stanza da letto: il soffitto raffigurava una grande palma con le foglie di vetro prezioso, e nel mezzo della sala, a un grande stelo d'oro, erano sospesi due letti che sembravano due gigli: uno era bianco e ci dormiva la principessa, l'altro era rosso, ed era quello dove Gerda doveva trovare il piccolo Kay; essa scostò uno dei petali rossi e vide una nuca bruna: oh, era certo Kay!
- Kay! - gridò forte la bimba, e avvicinò il lume. I sogni a cavallo fuggirono sibilando dalla stanza; il ragazzo si svegliò, girò il capo e... non era Kay!
Il principe gli somigliava solo nella nuca, ma anche lui era bello e giovane. E dal letto simile a un giglio bianco si affacciò la principessa, e domandò che cosa succedeva. Allora la piccola Gerda pianse e raccontò la sua storia dal principio e tutto quello che avevano fatto per lei le cornacchie.
- Poverina! - dissero il principe e la principessa, e lodarono le cornacchie e dissero che non erano per niente arrabbiati purché non lo facessero un'altra volta. Per quella volta avrebbero avuto un premio.
- Volete esser libere di volare dove volete? - domandò la principessa - oppure volete un impiego fisso come cornacchie di Corte e poter mangiare tutto quello che avanza in cucina?
Le due cornacchie fecero un inchino e accettarono l'impiego fisso; perché pensavano alla vecchiaia e si dicevano che sarebbe stato bello aver qualcosa da parte per i giorni cattivi, come si suoi dire.
Il principe fece dormire Gerda nel suo letto, di più non poteva fare. Gerda chiuse gli occhi e dormì come un angelo. Tutti i sogni volarono dentro un'altra volta, e adesso sembra­vano angeli di Dio; tiravano uno slittino e dentro c'era il piccolo Kay che salutava; ma erano chimere, e così tutto questo era spa­rito quando lei si svegliò. Il giorno dopo Gerda fu rivestita da capo a piedi, di velluto e seta; poi le venne fatta la proposta di restare al castello e vivere negli agi con loro; ma lei non chiese che un calessino, un cavallo e un Paio di stivaletti, per girare ancora nel vasto mondo in cerca di Kay. Ed ebbe stivaletti e manicotto; era molto graziosa così; e quando volle partire, davanti alla porta si fermò una carrozza d'oro; sopra c'era lo stemma del principe e della principessa, che splendeva come una stella. Il principe e la principessa aiutarono Gerda a salire in carrozza e le fecero tanti auguri di felicità. La cornacchia del bosco, che adesso era sposata, si offrì di accompagnarla per i primi tre chilometri e sedette accanto a lei, l’altra cornacchia al momento della partenza s'affacciò alla portiera e sbatté le ali in segno di saluto a Gerda. Dentro la carrozza c'era un canestro pieno di croccanti dolci e sul sedile canditi e piccoli panpepati.

- Addio! Addio! - gridarono il principe e la principessa; la piccola Gerda e la cornacchia piansero. Poi anche la cornacchia salutò e questo fu il congedo più doloroso; volò in alto sopra un albero e sbatté le ali nere finché poté seguire con lo sguardo la carrozza che brillava come un bel sole. Attraversando il bosco nero, la berlina riluceva come una fiamma, e i briganti sbatterono le palpebre; davvero non reggevano a quella vista.
- È oro! è oro! - gridarono, slanciandosi avanti; afferrarono i cavalli per le briglie, ammazzarono i valletti, i servi e il postiglione e trassero fuori dalla berlina la piccola Gerda.
- È grassa, è graziosa - disse la vecchia moglie del brigante - Dev'esser buona come un agnellino da latte! Uhm! deve avere un sapore! - e intanto tirava fuori il suo lucente coltello che scintillò da far paura.
- Ahi! - gridò in quel momento stesso. Si era sentita mordere l'orecchio dalla sua figlietta che le si era appesa dietro le spalle ed era così selvaggia e insolente da non dire.
- Piccola villana! - disse la madre, e non fece in tempo a colpire Gerda.
- Lei giocherà insieme a me! - disse la figlia del brigante - Mi darà il suo manicotto, il suo bel vestito, dormirà insieme a me nel mio letto! - E le morse l'orecchio un'altra volta, tanto che la moglie del brigante fece un salto per aria.
La figlia del brigante era grande come Gerda, ma più forte, più robusta e con la pelle scura; aveva occhi nerissimi che sembravano quasi tristi. Afferrò Gerda alla vita e disse:
- Loro non ti ammazzeranno finché io non mi arrabbierò con te! Tu sei una principessa, vero?
- No - disse la piccola Gerda, e raccontò tutto quello che le era capitato, e come voleva bene al piccolo Kay.
La figlia del brigante la guardò seria seria, abbassò un po' la testa e disse:
- Loro non ti devono ammazzare neanche se io mi arrabbierò con te, perché allora ti ammazzerò da me! - E intanto asciugava gli occhi a Gerda e infilava le mani nel bel manicotto che era tanto morbido e caldo.
In quel momento la berlina si fermò; stava in mezzo al cortile di un castello di briganti.
- Tu dormirai con me stanotte, insieme a tutte le mie bestiole! - disse la figlia del brigante. Ebbero da bere e da mangiare e poi se ne andarono in un angolo dove c'era paglia e coperte. Un po' più in alto, sopra pertiche e assicelle, stavano appollaiati quasi cento piccioni; sembrava dormissero, e invece si voltarono un po' quando entrarono le bambine.
La figlia del brigante mise il braccio intorno al collo di Gerda e si addormentò. Gerda invece non poteva chiudere occhio; non sapeva se sarebbe rimasta in vita o se le toccava morire. Allora i colombi dissero:
- Kurr! Kurr! noi abbiamo visto il piccolo Kay. Una gallina bianca tirava il suo slittino; lui stava nella slitta della regina della neve, che filava radente sul bosco quando noi stavamo ancora nel nido; fece tanto vento con la sua corsa che tutti i piccoli morirono, tranne noi due. Kurr! Kurr!
- Che dite voialtri lassù? - gridò Gerda. - Dove era diretta la regina della neve? Sapete qualcosa?
- Andava probabilmente in Lapponia, perché là c'è sempre ghiaccio e neve. Lo puoi chiedere alla renna che è qui legata alla corda.
- Là c'è ghiaccio e neve, là si sta tanto bene! - disse la renna - là si può saltare liberi per le grandi valli scintillanti! Là, la regina della neve pianta le sue tende d'estate, ma la sua vera dimora è un castello vicino al polo nord, su quell'isola che si chiama Spitzberg!
- Oh, Kay, piccolo Kay! - sospirò Gerda.
Al mattino Gerda raccontò tutto quello che i palombi avevano detto, e la figlia del brigante diventò seria seria, ma abbassò il capo dicendo:
- Non importa! Non importa! Lo sai dov'è la Lapponia? - chiese poi alla renna.
- Chi può saperlo meglio di me! - disse la renna, e gli occhi le splendevano di gioia. - Là sono nata e cresciuta, là ho saltato sui campi di neve!
- Sta' a sentire! - disse la figlia del brigante a Gerda - Vedi, adesso i nostri uomini sono andati fuori, ma la vecchia è ancora qui, e ci resta; però quando comincia a far giorno s'attacca a quel bottiglione e poi si appisola. Allora io farò qualcosa per te! - Saltò fuori dal letto, si precipitò al collo della madre, le tirò i baffi e disse: - Caro caprone mio, buongiorno! - E la madre le tirò il naso fino a farglielo diventare rosso e blu, ma erano tutti segni d'affetto.

Quando poi la madre ebbe bevuto la sua bottiglia e si fu messa a dormire, la figlia del brigante andò dalla renna e disse:
- Io avrei una voglia matta di farti il solletico tante altre volte ancora col mio coltello affilato perché allora sei tanto divertente. Ma non importa: scioglierò la tua corda e ti lascerò scappare perché tu possa ritornare in Lapponia; però devi correre come il vento e mi devi portare questa bambina fino al castello della regina della neve dove si trova il suo compagno di giochi. Ma tu certo hai sentito quello che lei ha raccontato, perché parlava forte e tu stai sempre con le orecchie tese!
La renna fece un gran salto di gioia. La figlia del brigante aiutò Gerda a salire in groppa all'animale ed ebbe la precauzione di legarla bene; le diede perfino un cuscinetto per sedersi sopra.
- Eccoti - disse - gli stivaletti di pelo, perché farà freddo, ma il manicotto resta a me: è troppo carino! Però non devi aver freddo alle mani. Ecco i guantoni di mia madre, ma ti saranno molto grandi, infilali! Adesso le tue mani somigliano a quelle della mia brutta madre!
Gerda pianse di gioia.
- Non posso sopportare il tuo piagnucolio! - disse la figlia del brigante. - Adesso devi avere la faccia contenta! Eccoti due pani e un prosciutto, così non avrai fame.
Assestò le provviste sul dorso della renna, poi apri la porta, fece correre dentro tutti i grossi cani e infine tagliò col coltello la corda che teneva legata la renna e le disse:
- Adesso corri! ma sta' bene attenta alla bambina!
E Gerda stese le mani coi guantoni verso la figlia del brigante e disse addio, e la renna partì per macchie e per sterpi, attraverso il grande bosco, per steppe e per paludi, più veloce che poteva.
- Ecco la mia cara aurora boreale! - disse la renna - guarda come splende! - E così corse sempre più svelta giorno e notte. Il pane venne tutto mangiato e anche il prosciutto, ma intanto erano arrivati in Lapponia.
Si fermarono davanti a una casetta; era molto povera; il tetto scendeva fino a terra, e la porta era tanto bassa che la famiglia doveva strisciare sulla pancia per entrare o uscire. In questa casa non c'era nessuno all'infuori di una vecchia donna lappone che stava friggendo il pesce sopra una lampada a olio di balena; e la renna raccontò tutta la storia di Gerda, prima però raccontò la sua, perché le sembrava molto più importante, e Gerda era così intirizzita dal freddo che non poteva parlare.
- Ah! povere creature! - disse la donna di Lapponia - avete ancora da correre parecchio! dovete fare ancora più di cento miglia per arrivare in Finlandia, perché lì sta in villeggiatura la regina della neve. Scriverò due righe sopra un baccalà secco, perché non ho carta; lo consegnerete alla donna di Finlandia quando sarete arrivate; lei vi potrà informare meglio di me.
E quando Gerda si fu riscaldata ed ebbe mangiato e bevuto, la donna di Lapponia scrisse due righe sopra un baccalà secco e avvertì Gerda di non perderlo; poi la legò sulla renna e quella partì di corsa. Un lieve scricchiolio si sentiva nell'aria; tutta la notte brillarono le belle luci dell'aurora boreale; alla fine arrivarono in Finlandia e bussarono al camino della donna finlandese, perché lì non c'era neppure la porta.  Faceva tanto caldo dentro che la donna finlandese andava quasi nuda; era piccola e aveva la pelle sporchissima; subito essa sbottonò i vestiti a Gerda, le sfilò guanti e stivali, perché avrebbe sofferto troppo caldo là dentro, mise un pezzo di ghiaccio sulla testa della renna e poi si mise a leggere quello che era scritto sul baccalà secco; lesse tre volte, alla fine lo seppe a memoria e buttò il baccalà nella pentola, perché si sarebbe potuto benissimo mangiare e lei non sprecava mai niente. Allora la renna raccontò prima la sua storia, e poi quella di Gerda, e la donna finlandese strizzò gli occhi, ma non disse nulla.
- Tu sei tanto intelligente! - disse la renna - So che sei capace di legare tutti i venti del mondo con un filo da cucire; quando il navigante scioglie un nodo, allora spira un vento buono, se ne scioglie un altro, soffia un vento più forte, e se ne scioglie un terzo e un quarto, allora viene una tormenta che fa sradicare gli alberi del bosco. Non vuoi far bere a questa bambina un sorso di qualcosa che la faccia diventare forte come dodici uomini e le faccia vincere la regina della neve?
- La forza di dodici uomini - disse la donna finlandese - non servirebbe a niente!
E andò verso una mensola, prese una grande pelle arrotolata e la svolse; c'erano scritte delle strane lettere, e la finlandese lesse tanto che il sudore le colava dalla fronte.

Ma la renna tornò a supplicarla ancora per la piccola, e Gerda la guardava con due occhi così imploranti e lacrimosi, che la donna finlandese cominciò a strizzare i suoi e tirò la renna in un cantuccio, sussurrandole mentre le metteva del ghiaccio fresco sulla testa:
- È vero che il piccolo Kay si trova presso la regina della neve; lui crede che tutto vada secondo i suoi desideri, e che quello sia il luogo più bello del mondo, ma tutto questo succede perché gli è entrata una scheggia di vetro nel cuore e un altro granellino di vetro nell'occhio; prima bisogna tirarli fuori; altrimenti non diventerà mai un uomo e la regina della neve conserverà il suo potere su di lui!
- Ma non potresti dare alla piccola Gerda qualcosa da bere, per cui tutti cadano in potere suo?
- Non posso darle un potere maggiore di quello che ha già! Non vedi com'è grande? Non vedi come gli uomini e gli animali la servono, e quanta bella strada è riuscita a fare con le sue sole gambe? Non può prendere certo alcun potere da noi; il potere si trova nel suo cuore, e consiste in questo, che è una fanciulla buona e innocente. Se non va lei stessa dalla regina della neve a liberare il piccolo Kay dal pezzetto di vetro, noi non possiamo far niente. A due miglia di qui comincia il giardino della regina della neve, fin là tu puoi portare la bambina; falla scendere vicino a quel gran cespuglio che sorge in mezzo alla neve, con le bacche rosse; non indugiare in lunghe chiacchiere e affrettati a tornare! - E così la donna finlandese issò la piccola Gerda in groppa alla renna, che corse via più veloce che poté.
- Oh! mi sono dimenticata gli stivali, mi sono dimenticata i guanti! - gridò la piccola Gerda; se n'era accorta solo adesso per il freddo pungente; ma la renna non poteva fermarsi; corse finché arrivò al gran cespuglio con le bacche rosse; lì depose Gerda, la baciò sulla bocca e lucenti lacrime bagnarono le guance della renna, e poi essa ripartì di corsa, più veloce che poteva.
E la povera Gerda rimase lì, senza scarpe e senza guanti, in mezzo a quella spaventosa Finlandia gelata.
Corse avanti più veloce che poteva e d'un tratto sopraggiunse un intero reggimento di fiocchi di neve; ma non venivano giù dal cielo, anzi il cielo era tutto sereno e fiammeggiante per l'aurora boreale; i fiocchi di neve correvano rasoterra, e più arrivavano vicini più apparivano grandi; Gerda ricordava come le erano apparsi grandi e mirabili quando li aveva guardati attraverso la lente, ma questi erano grandi e paurosi in tutt'altro modo: erano vivi, erano l'avanguardia della regina della neve. Avevano le forme più strane: alcuni sembravano orribili porcospini, altri dei serpenti raggomitolati che rizzavano la testa in alto, e altri ancora sembravano orsacchiotti grassi, coi peli irti, e tutti i fiocchi di neve erano bianchi lucenti e tutti erano vivi.
Allora Gerda recitò il «Padre Nostro»; era così freddo che vedeva il suo respiro; le usciva di bocca come una colonna di fumo, che si faceva sempre più denso finché si trasformò in piccoli angeli luminosi, i quali diventavano più grandi, sempre più grandi quando toccavano terra; e tutti portavano l'elmo in testa e lancia e scudo in mano; diventavano sempre più numerosi, e quando Gerda ebbe finito il «Padre Nostro», ce n'era una legione intorno a lei; essi colpivano con le lance gli orribili fiocchi di neve mandandoli in mille pezzi, e la piccola Gerda avanzò sicura e fiduciosa. Gli angeli le facevano lievi carezze sui piedi e sulle mani, e così lei sentiva meno il freddo e camminava svelta verso il castello della regina della neve.
Le mura del castello erano turbini di neve, le porte e le finestre erano raffiche di vento; c'erano più di cento sale, secondo come si era ammassata la neve; la più grande era lunga miglia e miglia, tutta illuminata dalle aurore boreali, e le sale erano vuote, gelate e splendenti. Lì non penetrava mai l'allegria, mai neppure un piccolo ballo di orsacchiotti, dove i venti potessero intonare la musica e gli orsacchiotti di ghiaccio potessero camminare sulle zampe di dietro e muoversi con aria distinta; mai una riunione allegra con scherzi e giochi; mai un invito alle bianche signorine volpi, che facessero quattro chiacchiere intorno a una caffettiera; vuote, grandi e fredde erano le sale della regina della neve. Le aurore boreali fiammeggiavano con tanta esattezza che a calcolare il tempo si poteva sapere quando la luce diventava più forte e quando più debole. Li in mezzo sedeva la regina della neve, quand'era in casa; e allora diceva che stava seduta nello specchio dell'intelligenza, e che quello era l'unico e il migliore del mondo.
Il piccolo Kay era tutto viola dal freddo, ma non se ne accorgeva, perché lei con un bacio gli aveva rapito il brivido del freddo e il suo cuore era né più né meno che un grumo di ghiaccio. Egli andava trascinando attorno certi blocchi di ghiaccio lisci e taglienti, che disponeva in mille modi, perché voleva costruire una certa figura; era come quando noialtri abbiamo dei pezzetti di legno e mettiamo insieme delle figure: è un gioco che si chiama gioco cinese. Anche Kay faceva delle figure, ed erano assolutamente perfette, era il gioco di ghiaccio dell'intelligenza; ai suoi occhi, le figure erano eccellenti e della massima importanza; questo dipendeva dal pezzetto di vetro che aveva nell'occhio! Componeva figure che diventavano una parola scritta, ma non riusciva mai a comporre proprio quella parola che voleva, la parola: Eternità.
La regina della neve aveva detto:
- Se riuscirai a comporre quella parola, allora diventerai padrone di te stesso, e io ti regalerò tutto il mondo e un paio di pattini nuovi - Ma lui non riusciva.
- Adesso devo volare via nei paesi caldi - disse un giorno la regina della neve - Voglio andare a guardare dentro le mie pentole nere! - Intendeva dire i monti che vomitano fuoco, l'Etna e il Vesuvio - Li imbiancherò un pochino! È tempo ormai! e sui limoni e le viti sarà bello a vedersi!
Così la regina della neve volò via, e Kay rimase solo nella sala vuota e gelata, lunga molti chilometri; e pensava e pensava tanto che la testa gli scoppiava; stava seduto tutto rigido e silenzioso; si sarebbe creduto che fosse morto assiderato.
Fu in quel momento che la piccola Gerda entrò nel castello per il grande portone, dove raffiche di vento le si avventarono contro; ma ella disse una preghiera della sera, e i venti si placarono come se volessero dormire, ed ella entrò nelle grandi sale fredde e vuote.
Allora vide Kay, lo riconobbe, gli volò al collo, lo abbracciò stretto stretto e gli gridò:
- Kay, caro piccolo Kay! Finalmente ti ho ritrovato! Ma egli sedeva zitto zitto, immobile e freddo; allora Gerda pianse lacrime brucianti che colarono sul petto del ragazzo, gli penetrarono nel cuore, sciolsero il pezzo di ghiaccio e corrosero il frammento di specchio che ci stava dentro.

Allora Kay scoppiò a piangere, e pianse tanto che il granello di vetro gli rotolò via dagli occhi; egli riconobbe la bambina e urlò di gioia:
- Gerda, cara piccola Gerda! Ma dove sei stata tutto questo tempo? e io dove sono stato? - e si guardò intorno: - Com'è freddo qui! com'è grande e vuoto! - e si aggrappò a Gerda e lei rise e pianse di gioia. Era una cosa così bella che perfino i blocchi di ghiaccio ballavano tutt'intorno dalla gioia, e quando furono stanchi e si fermarono, si disposero proprio in quelle lettere che la regina della neve aveva detto che Kay doveva comporre per diventare padrone di sé, e perché lei gli desse tutto il mondo e un paio di pattini nuovi. Gerda lo baciò sulle guance e queste diventarono fresche come fiori; lo baciò sugli occhi e si fecero splendenti come i suoi; gli baciò i piedi e le mani e lui diventò sano e vispo. La regina della neve poteva anche ritornare, la lettera d'addio era scritta li, con rilucenti blocchi di ghiaccio. Si presero per mano e si allontanarono dal castello, parlando della nonna e delle rose che crescevano sul tetto; e lungo il loro cammino il vento si placava e spuntava il sole. Quando giunsero al cespuglio con le bacche rosse, trovarono la renna che li aspettava; aveva con sé una renna giovane, dalle mammelle gonfie; questa diede ai bambini il suo latte caldo e li baciò sulla bocca. Poi tutt'e due portarono Kay e Gerda dalla donna finlandese; essi si scaldarono nella calda stanza e s'informarono per il viaggio di ritorno; passarono poi dalla donna di Lapponia, che nel frattempo aveva cucito per loro dei vestiti nuovi e aveva preparato uno slittino.
La renna grande e la renna piccola portarono in groppa i ragazzi fino ai confini del paese; qui spuntavano le prime foglie verdi, e Kay e Gerda presero congedo dalle buone amiche. - Addio! - dissero tutti. I primi uccelletti cominciavano a cinguettare, il bosco aveva germogli verdi, e ne usci, galoppando su un maestoso cavallo, una bambina con un cappello rosso fuoco in testa e una pistola alla cintura: era la figlia del brigante che era stufa di stare a casa: voleva andare prima verso nord e poi, se non ci stava bene, da un'altra parte. Essa riconobbe subito Gerda e Gerda riconobbe lei: fu una gran gioia.
- Lo sai che sei bravissimo a girare per il mondo? - disse al piccolo Kay. - Vorrei sapere se lo meriti, che uno corra fino alla fine del mondo per te!
Ma Gerda l'accarezzò sulla guancia e chiese del principe e della principessa:
- Sono partiti per un paese straniero! - disse la figlia del brigante.
- Ma la cornacchia? - chiese la piccola Gerda.
- Ah! la cornacchia è morta! - rispose - ma la povera sposina è rimasta vedova e gira con una strisciolina di lana nera intorno alla zampetta; si lamenta in un modo pietoso... Raccontami invece come t'è andata e come sei riuscita a riacchiapparlo!
E Gerda e Kay raccontarono insieme.
- Corbezzoli! - disse la figlia dei briganti, strinse loro la mano e promise che se fosse passata per la loro città, avrebbe fatto loro una visitina, e parti a cavallo per il mondo; Kay e Gerda andarono avanti tenendosi per mano e sul loro cammino spuntava la primavera con fiori e foglie; le campane della chiesa suonavano, e loro riconobbero le alte torri e la grande città.
Era quella dove loro abitavano; entrarono e andarono alla porta della nonna, su per le scale, e dentro la stanza dove tutto era ancora come prima, l'orologio diceva: - Tic! tac! - e la lancetta girava; ma entrando per la porta si accorsero che erano diventati grandi. Le rose fiorite della grondaia entravano dalla finestra aperta, e c'erano le due sedie di quando erano piccoli. Kay e Gerda si misero ciascuno nella propria tenendosi per mano; avevano dimenticato, come un sogno opprimente, lo splendore vuoto della regina della neve. La nonna era seduta nel sole chiaro del buon Dio e leggeva a voce alta nella Bibbia: «Se non sarete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli!»
E Kay e la piccola Gerda si guardarono negli occhi e capirono all'improvviso le parole del vecchio salmo: Le rose crescono nella vallata. Laggiù parleremo al Bambino Gesù!
Stavano seduti lì tutti e due; grandi, ma in fondo bambini; bambini nel cuore; ed era estate, la calda estate benedetta.

 

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